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Cosa resterà di quegli anni 80?

Museo Civico Archeologico Genna Maria: l’anno zero

“La pioggia fredda caduta per tutta la mattinata non ha rovinato il clima di festa grande, autentica e spontanea che ha coinvolto gli abitanti di Villanovaforru”.  Così la stampa raccontava quel 18 dicembre 1982, giorno in cui veniva inaugurato il primo Museo Civico Archeologico in Sardegna, in un’epoca e in un’area in cui il turismo culturale e archeologico poteva sembrare ancora un’illusione, ma non per l’allora sindaco di Villanovaforru Giovanni Pusceddu, autentico promotore di una rivoluzione culturale senza precedenti. “Qui c’è gente che ama la sua terra e la difende” sottolineò l’illustre archeologo Ferruccio Barreca, fu una giornata storica, una giornata attesa da tanti anni, “tredici” per l’esattezza affermò nel discorso inaugurale Giovanni Pusceddu. Il riferimento era al 1969, anno in cui cominciarono gli scavi nella collina di Genna Maria o meglio Genn’ e Mari, scavi che portarono alla luce straordinari ritrovamenti archeologici. Nei primi anni settanta la scelta di destinare a museo i locali del Monte Granatico generò parecchie diatribe politiche e polemiche, da una parte chi non intravedeva nessuna possibilità per un piccolo paese di ospitare i reperti archeologici, dall’altra chi ne vedeva nella valorizzazione un possibile volano per l’economia locale.

Rete tra Comuni per una scommessa culturale: il Consorzio Turistico Sa Corona Arrùbia

Villanovaforru, Collinas, Siddi e Lunamatrona strinsero un patto di ferro, occorreva ampliare l’offerta, servivano nuove attrattive. E allora si procedette a diverse campagne di scavo archeologico, nacque il Museo del Territorio in grado di raggiungere oltre 500 mila visitatori con le sue grandi mostre internazionali. Si costruì l’unica seggiovia della Sardegna.  Nel 1997, sempre sulla spinta del presidente del Consorzio Sa Corona Arrùbia Giovanni Pusceddu, “Su Nuraxi” di Barumini ottenne il riconoscimento di sito “UNESCO”.

1982: l’anno mondiale per Villanovaforru

 L’estate era stata calda, caldissima, eppure non esistevano gli anticicloni Scipione, Caronte, Lucifero…

A dir la verità un ciclone ci fu, di nome Paolo Rossi, che regalò il mondiale all’Italia di Bearzot, ed allora il sacro si mischiò al profano, con le bandiere tricolori di Santa Marina utilizzate per festeggiare l’impresa “Mundial”. A novembre, per l’esattezza l’11, sotto la pioggia, il Cagliari inaugurò il campo sportivo di Villanovaforru. “Il campo da gioco è invidiabile tanto è regolare e coperto da soffice erbetta, ben altra cosa del campo di patate di Sant’Elia”, così scrivevano i giornali di allora, “Vorrei vedere altri impianti simili dappertutto nell’isola” dichiarò Gigi Riva.

Sempre in quell’anno e sempre sotto la benedetta pioggia, due importanti avvenimenti in una giornata di festa, l’ordinazione sacerdotale di Padre Giuseppe Pusceddu e l’inaugurazione della palestra comunale.

Popolarità televisiva e mediatica

Villanovaforru, il paese del formaggio, dei dolci, degli scialli. Villanovaforru miglior paese d’Italia: la popolarissima trasmissione Tv della Rai “Sereno Variabile” non ebbe dubbi. Numerosi furono i passaggi televisivi dell’epoca, “Villanovaforru, il paese del recupero, con gli scavi non si recuperano solo storia e cultura, bensì anche tradizioni” esordì Alessandro Ippolito in collegamento diretto con Mike Bongiorno per “Telemike”, programma di punta di Canale 5.

Senza social ma più sociali

Se oggettivamente si assisteva ad una politica di fatti concreti e non da slogan sui social, la vita della comunità scorreva con dei rituali ben precisi. I primi amori in “Sa perda de sa bregungia”, le scampagnate a funtana jannus, le sigarette da “Zia Rosina”, il gelato sfuso da “Ugo”, le telefonate da “Belliccu”, la bombola da “Fellici”, la birra da “Attiliu ‘e Mura”, la carne da “Pinucciu”, le estati a “Sa Madonnina”, solo per citarne alcuni.

Bastava poco per far festa, l’uccisione de “Su procu” era motivo di raduno per un vicinato intero, per San Sebastiano ogni rione o meglio “Xianu” non si faceva mancare “Su fogadoni”. “Anca si bideus? A Biamara, Biaforru, Funtamanna o Pratz’ e cresia?” E in sottofondo sembra ancora di sentire il jukebox del bar di Pasquale che intona: “Cosa resterà di questi anni 80….”