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Villanovaforru scopre un nuovo poeta: Gabriele Mocci

Debutto sorprendente nel mondo della poesia per il nostro compaesano Gabriele Mocci, l’ingegnere villanovese, infatti è arrivato quinto nel concorso nazionale : un fiore di poesia. Tale concorso, organizzato dal blog letterario “viadellebelledonne” ha visto ben 725 partecipanti, tra cui molti nomi di prestigio. Basti pensare che la vincitrice Paola di Loreto,insegnante di Letteratura Angloamericana all’Università di Milano, ha pubblicato in passato:“L’acero rosso, Crocetti 2002, “Addio al decoro, LietoColle 2006″. “La memoria del corpo, Crocetti 2007″ Ha vinto,inoltre, molti premi fra i quali le segnalazioni nel 1999 e nel 2001 nella Sezione Inediti del Premio Montale; e nel 1999 il Secondo Premio nella Prima edizione del Concorso Letterario di narrativa Roma nel Novecento. Nel 2005 ha curato il LucaniaPoesiaFestival. Come studiosa ha pubblicato due libri sulla poesia di Emily Dickinson e di Robert Frost e ha tradotto poesie di Emily Dickinson, William Carlos Williams, Richard Wilbur, Philip Levine, Amy Newman, Paul Celan e di alcune mistiche medievali.
Tutto ciò non fa che confermare la straordinaria affermazione di Gabriele e siamo pertanto fieri ed orgogliosi di pubblicare la sua “opera prima”:
Il filo
Danza sul filo il sole
dall’amo alla riva,
fra le onde alle mani.
Lampi veloci fra l’esca e la canna
e dal molo al mare
gioia di pesca sotto il cappello,
e bisbigli di barche al pontile.
Smania di spezie la tovaglia,
mentre il bianco sfuma dall’oro,
fra l’essenza, il rame, e la stanza.
Solletica il viso l’aquilone in cortile,
mentre a piccole mani viaggia sul filo del vento.
Poi tutto è spento.
Sgomitola il gatto,
l’orologio inciampa
e la gola s’annoda:
rotolo i miei sogni in molliche di pane,
fra un tovagliolo e un coltello.
Ondeggio a ricordi, in profumi di rosso
dietro al cristallo:
il soldato ha cambiato il fucile per una croce di legno;
il pescatore non ha più ciondoli d’argento sotto il cappello;
il ragno, Mani di Seta, tesse parole di ferro
con l’ago.
Avvolgo alle dita un filo senz’amo,
scaglio di rosso
l’aquilone e l’inchiostro,
stringo e taglio,
parlo col ragno,
infrango uno scoglio:
non c’è più il mare oltre il molo.
E mi fingo di goccia sul vetro.
La sera affaccia dalle bottiglie il ciglio,
galleggia un sorriso,
uno sguardo leggero,
e un vapore sospeso.
Nuoto e naufrago a piedi nel tempo,
di sguincio sul malto,
la poltrona o il divano.
E il filo si fa lento,
il vetro si fa ancora cristallo.
Afferro l’ultimo sole
nel riflesso di un amo.
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